La lunga strada di sabbia
La lunga strada di sabbia è un libro di viaggio del 1959. Non può vantare l’aura mistica dei libri che raccontano di epiche avventure in terre lontane, ancora inesplorate, dai nomi esotici impronunciabili. Non può nemmeno permettersi di ricamare sul nulla, come qualche volta può fare l’esploratore del mondo incognito, il primo ad arrivare in un luogo ancora vergine, solo e unico testimone delle sue prodezze.
Pasolini, allora giovane scrittore piuttosto squattrinato, accettò l’incarico della rivista Successo che gli chiese di raccontare l’estate di quell'anno seguendo il litorale italiano, da Ventimiglia a Trieste. Partito a bordo della sua 1100, giorno dopo giorno, PPP racconterà quell’Italia in parte ancora innocente e viva, in cui emergono già le prime avvisaglie di un boom economico che in pochi anni stravolgerà profondamente gli usi e i costumi degli italiani, e non solo. È un’Italia estiva, in vacanza, ma la penna di Pasolini sa guardare oltre le apparenze: tratteggia in poche frasi il perché di un momento felice, di un entusiasmo o il senso profondo di uno sconcerto.
Ci vuole anche uno sguardo lucido, implacabile, acuto... lo sguardo di un autore che ho avuto modo di conoscere e approfondire già alle superiori quando, in un test a sorpresa, mi è stato chiesto di individuare le principali figure retoriche di una sua poesia, di cui non ricordo il titolo. Avevo preso il massimo dei voti e il mio lavoro era stato letto in classe, con grande sorpresa dei miei compagni. E anche mia, ça va sans dire. Mai prima d’ora avevo conosciuto tale gloria… Insomma, gli devo qualcosa.
Ancora prima: nel 1959 avevo sei anni. A quell’età conoscevo già molto bene Genova, dove passavo spesso parte delle vacanze dai miei nonni paterni, in via Bovio, a poca distanza da Corso Italia e dai Bagni Mangili. Stavamo giornate intere a giocare su quella spiaggia di ciottoli, a entrare e uscire dal mare, a mangiare focaccia e a farci togliere le macchie di catrame che ci restavano appiccicate addosso. Il mare era una fogna, ma a noi piaceva comunque. E proprio nell'estate del '59, mentre io e i miei fratelli sguazzavamo felici tra le chiazze di petrolio, Pasolini parcheggiava la sua 1100 in Corso Italia, a due passi dai Bagni Mangili, scendeva dall’auto, si metteva diligentemente in posa davanti all’obbiettivo di Paolo di Paolo per poi volgersi verso il mare, verso la nostra spiaggia:
«Genova fuma, sfuma in un guazzabuglio supremo. L’attraversi, a metà Corso Italia, già verso Levante, ti volti, e alle tue spalle ecco la più bella visione di tutta la Liguria. Il porto, con catene di navi, banchine battute da un mare color paglia, una frana di palazzi, impastati in un’unica polvere, e più vicino vecchie navi ruggini, moli di massi neri, il mare verde oliva, torbido come un fiume in piena, con un ghirigoro di scoglietti, isolotti, rotonde, tutto di ferro battuto, e orridi, qui sotto, con erbe, fichi d’India e spazzatura. Nel limite di questo quadro, ai piedi di chi guarda, in fondo a un vertiginoso muraglione da città del futuro, sotto una rete di protezione, c’è una piccola spiaggia di ciottoli. Si intravvede, nella luce del temporale, qualcuno che fa il bagno. Una ragazza bionda, nuda, di carne, di carne calda, in mezzo a tutto quel ferro.»
Tratto da:
Pier Paolo Pasolini, La lunga strada di sabbia, Contrasto, 2005
Testo Graziella Chiarcossi / Fotografie Philippe Séclier
Con brani inediti contenuti nel documento dattiloscritto.
Altre edizioni:
Pier Paolo Pasolini, Romanzi e racconti 1946-1961, Mondadori – Meridiani, 1998
Pier Paolo Pasolini, La lunga strada di sabbia, Ugo Guanda Editore, 2017